Bologna, sabato 8 febbraio 2025 – È il giorno lunedì 4 novembre 1940. Prima ora: chimica. Già il fatto di essersi dovuto disconnettere in qualche modo dai piaceri provati i giorni precedenti nella meravigliosa ed eccitante atmosfera di Villa Umberto era un peso non indifferente da sopportare: ma in più l’odiata chimica come inizio di settimana… no, era troppo. A Raimondo sembrava di dover affrontare una prova ben più faticosa e impegnativa di quelle che aveva da poco vissuto in sella… Per fortuna aveva con sé il giornale sportivo su cui c’era un lungo resoconto delle gare: e si parlava ovviamente anche della vittoria della Farnesina, e si nominavano tutti i protagonisti, e c’erano anche le classifiche… insomma, un bel modo per rimanere ancora dentro quell’atmosfera. E poi, ovvio: c’era un certo gusto nel leggere il proprio nome sul giornale, e poi quello di Piero e quello di Costante.
Raimondo adesso frequentava lo stesso liceo di Piero nel Convitto Nazionale “Vittorio Emanuele II”. Non solo detestava chimica, ma la professoressa di quella materia era severissima, antipatica, non più giovane e tanto per rendere il tutto ancor meno gradevole… non propriamente una bellezza. Ma quella mattina Raimondo è meno sensibile a questa serie di disgrazie perché ha con sé il giornale che non vede l’ora di poter leggere. Così appena entrato in classe va a sistemarsi in ultimo banco. Attende che la professoressa inizi la spiegazione, poi dispone una bella muraglia di libri sul piano del tavolo e appoggiandosi sul cassetto sottostante comincia a sfogliare il giornale pieno di desiderio di leggere quello che era scritto sulla gara della quale anche lui era stato ottimo protagonista. Raimondo dentro sé stesso freme di gioia e di piacere nel ripensare all’accaduto e nel leggerne ora la descrizione riportata dal giornalista: Raimondo legge e gli pare di rientrare direttamente in quell’atmosfera, riassapora quelle emozioni vibranti, risente quella meravigliosa eccitazione provata proprio nel momento precedente l’ingresso in campo… Raimondo si immerge come un subacqueo nel mare di quella bellezza e non sente più nulla, non si accorge di nulla… nemmeno del fatto che la classe è piombata in un silenzio di pietra, nemmeno del fatto che proprio di fianco al suo banco sta eretta una figura rigida e secca…
Improvvisamente Raimondo sente il ghiaccio dentro: vede gli stivaletti alti e appuntiti come lance della professoressa… alza lentamente lo sguardo quasi come chi spera di non essere notato, ben sapendo che ormai la tragedia sta per compiersi. La professoressa da immobile che era strappa con violenza il giornale dalle mani di Raimondo: «Fuori!», urla con voce stridula e alterata, stringendo il giornale come se fosse il collo di qualcuno da strozzare. Raimondo si alza lentamente cercando di non far rumore e di non urtare nulla: «Fuori ho detto!», lo incalza la professoressa di chimica. Raimondo si avvia rapido verso la porta seguito dallo sguardo di tutti i suoi compagni di classe ammutoliti. Apre la porta, esce, richiude la porta. E poi tira un sospiro di quasi sollievo: almeno adesso non ha davanti agli occhi quell’arpia…
Sì, ma non completamente fuori pericolo, però. Il regolamento diceva che bisognava starsene fuori dalla porta almeno quindici minuti prima di poter rientrare in classe. E quello era un corridoio spesso percorso dal direttore del liceo… Raimondo si guarda intorno con circospezione per scorgere in anticipo eventuali pericoli e… diversi metri più in là vede la sagoma di un altro ragazzo fuori dalla porta della sua classe, appoggiato al muro con la schiena…
«Piero!».
«Oh… ma guarda! Raimondo… ».
«Cavolo, anche tu».
«Sì, maledizione».
«Perché?».
«Mi ha beccato con il giornale».
«Anch’io!».
«Hai visto che bello però?».
«Davvero… Se ripenso a quei mollaccioni dei milanesi!».
«Beh, cosa vuoi che potessero fare… sono arrivati ultimi, gli avrà dato un po’ di fastidio, direi».
«Oh, mannaggia, no… !». Raimondo si blocca spostando lo sguardo oltre le spalle di Piero, in fondo, dove inizia il corridoio: «Il direttore… ».
Piero e Raimondo non possono fare altro che stare fermi ad aspettare, rigidi come bacchetti.
«Ah, ecco: i signori d’Inzeo. E insieme, poi», dice il direttore sorridendo sarcastico. «Che ne direste di venire nel mio ufficio, così facciamo una bella chiacchierata?», aggiunge continuando a camminare senza preoccuparsi del fatto che i due fratelli lo stessero seguendo o meno. Naturalmente Piero e Raimondo lo seguono senza fiatare.
Una volta nel suo ufficio, il direttore si accomoda dietro la scrivania e indica le due sedie dalla parte opposta a Piero e Raimondo aggiungendo in tono formale: «Prego».
I due fratelli si siedono senza dire una parola. Aspettano. Il direttore guarda immobile un punto del muro alla sua sinistra. Passa qualche secondo di silenzio.
«Allora», dice poi il direttore volgendo lo sguardo su Piero e Raimondo, «che ne direste di smetterla entrambi? A scuola si viene per stare in classe, non fuori dalla porta della classe… direi. Giusto?».
«Giusto signor direttore», risponde Piero senza muovere un solo muscolo del volto.
«Ecco, bene. Voi siete due bravi ragazzi, io lo so. Siete anche due ottimi giovani cavalieri, so anche questo, e lo so molto bene. State facendo felice vostro padre, questo è certo, ma è altresì certo», il direttore alza leggermente il tono della voce, «che i vostri genitori si aspettano da voi un eccellente comportamento a scuola! Non è così forse?».
«Sì signor direttore», risponde glaciale Piero, mentre Raimondo pensa che è una fortuna che anche suo fratello si sia trovato fuori dalla porta quella mattina…
«Perché siete stati puniti dal vostro insegnante?».
Piero e Raimondo si scambiano una veloce occhiata. «Perché avevamo un giornale», dice Raimondo, «e stavamo leggendo».
«Ieri sono finiti i campionati nazionali a Villa Umberto», prosegue Piero, «e noi… cioè, la nostra squadra ha vinto. Oggi c’è un articolo su quel giornale, ecco perché».
«Ah, sì, bene, chiaro quindi. Molto bene. Beh, bravi: complimenti. Però… allora, facciamo una cosa: cercate di sentirvi in gara anche a scuola, in classe. Cercate di vincere anche questa gara. Cercate di essere tra i primi anche qui. Pensatelo: e poi dovete volerlo. E fatelo. E dovete riuscirci, signori. Poi vincerete meglio e di più in sella ai vostri cavalli. Ve lo assicuro».
Silenzio. Piero guarda il direttore come se in realtà il direttore non fosse stato lì davanti a lui. Raimondo rimane ugualmente immobile con il volto ma sposta lo sguardo freneticamente da suo fratello al direttore, e viceversa.
«Sì, signor direttore», dice poi Piero rompendo finalmente quel silenzio. «Ci proviamo. E ci riusciremo».
«Molto bene, signori, molto bene», dice il direttore alzandosi. Si alzano anche Piero e Raimondo. Il direttore si avvia verso la porta e la apre. Piero e Raimondo escono poi si voltano: «Grazie signor direttore».
«Buona giornata a voi, signori. E non vi voglio più vedere fuori dalla porta… », ribadisce il direttore con un mezzo sorriso più di complicità che di minaccia.
Piero e Raimondo si avviano lungo il corridoio verso le rispettive classi. «Beh, non è andata male… », dice Raimondo sollevato.
«No», dice Piero, «ma non deve saperlo papà».
«Ovvio, certo. Ma non credo che il direttore glielo dirà. Non mi sembrava, no? Tu che dici?».
«No, forse no. Speriamo. Va beh, senti: io vado. Ci vediamo dopo a casa, va bene?».
«Sì, d’accordo, io arrivo un po’ dopo oggi, ho un’ora in più».
«Va bene, ciao».
«Ciao».
I due fratelli fanno ritorno ciascuno nella propria classe. Raimondo con un po’ di rammarico pensa che non ha fatto in tempo a leggere tutto l’articolo del suo giornale…
Finita la mattinata di scuola, con anche l’ora in più prevista per quel lunedì, Raimondo sta per inforcare la sua bicicletta per tornare a casa quando si sente chiamare da lontano. Il professore di educazione fisica e anche insegnante di equitazione…
«Raimondo d’Inzeo?».
«Sì signor professore».
«Buongiorno Raimondo», dice il professore avvicinandosi. «Senti… oggi per caso tra le tue materie c’era lezione di permanenza in corridoio… ?», dice il professore con quella sua tipica sgradevole ironia e dando a Raimondo del tu.
«Sì signore, purtroppo», risponde Raimondo badando bene a mostrarsi molto più che contrito, conoscendo il soggetto che gli stava di fronte. «Però la prego: non dica nulla a mio padre, la prego… ». Raimondo sapeva bene che il professore e Costante si conoscevano per via delle cose di cavalli: più di qualche volta il professore era stato alla Farnesina e con Costante aveva dimostrato una certa confidenza.
«Oh no, no, figurati, certo che no, non gli dico proprio nulla», risponde mellifluo il professore, «anche perché so bene come potrebbe prenderla tuo padre… del resto, però, non è che si possano leggere i giornali in classe durante le lezioni, no? Non credi? Tu cosa ne dici, Raimondo, eh?».
La storia del giornale doveva essere circolata, evidentemente… Raimondo fiuta il pericolo: «Ho sbagliato signor professore, lo so. C’era l’articolo sul Campionato d’Italia che abbiamo vinto, volevo leggerlo, e… sì, lo so, ho sbagliato, lo so. Mi sono scusato anche con il direttore, signor professore… ».
«Eh sì, adesso… se non sbaglio non è la prima volta che finisci fuori, però, vero?».
«Beh sì, è capitato qualche altra volta… Signor professore, la prego: non dica niente a mio padre però».
Il professore sorride e mette una mano sulla spalla di Raimondo guardandolo con fare fintamente paterno: «Stai tranquillo, vedrai. Stai tranquillo… ».
«Signor professore, mi scusi, io andrei adesso… è un po’ tardi».
«Oh certo, certo, vai Raimondo, vai. Ti staranno aspettando a casa, certo. Vai, vai pure. E salutami tuo padre, mi raccomando… ».
«Certo signor professore. Grazie signor professore. Buona giornata signor professore».
«Ciao caro», sorride sornione il professore, «e lascia stare i giornali in classe… ». Un sorriso che a Raimondo non dice niente di buono.
Raimondo comincia a pedalare verso casa per nulla rassicurato. Quel professore gli era stato sempre tremendamente sulle scatole, con tutte quelle arie da grande cavaliere che si dava… e invece era un imbranato: sapeva solo far finta di sapere. E forse proprio per questo non vedeva di buon occhio Raimondo, e nemmeno Piero: quei due ragazzetti dovevano abbassare la cresta… chi diavolo si credevano di essere.
Una volta a casa però le cose di tutti i giorni prendono il sopravvento e l’accaduto della mattinata di scuola passa un po’ in secondo piano. È lunedì, quindi Piero e Raimondo non vanno alla Farnesina, nonostante il loro papà sia là: come ogni giorno, del resto. Anzi, il lunedì non essendoci le lezioni era il giorno in cui di solito Costante si dedicava a tutto quello che non riusciva mai a fare durante la settimana: il controllo dei documenti, la verifica che tutto fosse in ordine, qualche lavoretto qui e là… oppure qualche cavallo da girare alla corda – cosa della quale era maestro sopraffino – o anche da montare senza l’assillo delle riprese, delle lezioni, della gente che chiede e che vuole e che viene e che va.
Piero e Raimondo così si dedicano un po’ allo studio, poi alla lezione di pianoforte con la signorina Eleonora che ormai era diventata un’ottima amica di Zoraide: terminata la lezione i fratelli se ne uscivano di casa e le due donne rimanevano da sole a chiacchierare e a bersi una tazza di tè con qualche biscotto. Accadeva ogni lunedì.
Questo però è un lunedì un po’ speciale. È il primo giorno dopo la conclusione dei campionati nazionali. Le gare erano terminate domenica, ma quella riservata ai giovani della Gil era stata disputata quasi una settimana prima, da lunedì a mercoledì: tuttavia Piero e Raimondo non avevano avuto ancora modo di parlare approfonditamente dell’intero evento con Costante perché lui ogni giorno era stato impegnato a Villa Umberto per osservare, parlare, incontrare persone, vedere cavalli… Del resto quella era la manifestazione più importante della stagione insieme al concorso di Piazza di Siena, e per di più di una stagione un po’ travagliata con tutto quello che stava succedendo: quindi oltre al fatto agonistico in sé rappresentava anche un momento di importante condivisione e confronto per la gente di cavalli di tutta Italia.
I due fratelli quindi pensano che quando Costante rientrerà a casa quella sera finalmente a cena si parlerà del capitano Gerardo Conforti vincitore del Campionato d’Italia di salto ostacoli con Popilio, oppure del tenente colonnello Agostino Marsili che su Oreste II aveva saltato due metri e trenta vincendo il titolo nell’elevazione, o ancora del capomanipolo Luigi Coccia che su Camponac aveva vinto l’estensione superando sei metri di specchio d’acqua. E magari anche un po’ della loro vittoria, della vittoria della scuola della Farnesina nella gara a squadre riservata ai ragazzi della Gil: forse Costante a mente fredda avrebbe regalato qualche parola in più rispetto a quelle già dette nell’imminenza della gara, forse avrebbe espresso qualche valutazione un po’ più approfondita, e chissà… forse avrebbe concesso ai suoi due figli anche qualche piccola gratificazione, da loro sempre attesa ma di fatto quasi mai ricevuta. Adesso però c’era un titolo italiano conquistato addirittura per la seconda volta consecutiva… insomma, c’era un’evidenza non trascurabile.
Costante rientra a casa, dunque. Piero e Raimondo sono tornati da non molto: sono in camera loro a leggere. Zoraide attraversa il corridoio, saluta il marito e dice: «Tra poco è pronto».
«Sì», dice Costante. «I ragazzi dove sono?».
«Di là», dice Zoraide scomparendo in cucina.
«Ragazzi!», chiama a voce alta Costante senza muovere un solo passo.
Piero e Raimondo arrivano di fronte al padre sorridendo ma l’espressione del volto di Costante dimostra che da sorridere c’è ben poco…
«Come è andata oggi a scuola?», chiede Costante.
I due fratelli esitano.
«Bene, come al solito», risponde poi Raimondo fingendo indifferenza e sperando di prendere in contropiede il padre. Ma non fa in tempo a finire la frase che la mano aperta di Costante lo colpisce con forza sulla guancia facendogli girare la testa dall’altra parte. Piero non riesce nemmeno a pensare qualcosa che la stessa sorte tocca anche a lui. I due fratelli con il volto in fiamme rimangono immobili di fronte al padre, tesi come corde di violino. Costante li guarda in silenzio, immobile a sua volta.
Poi Costante dice: «Questa sera ve ne rimanete in camera vostra. E per una settimana non monterete a cavallo».
Il maledetto professore di ginnastica aveva parlato…
(Tratto da “D’Inzeo – Piero e Raimondo: due fratelli, una leggenda”, di Umberto Martuscelli, Grafiche Zanini, Bologna 2017)